INFRATRUTTURE CRITICHE ED IL PROTOCOLLO ENVISION™ Perchè usare il framework Envision™ per valutare la sostenibilità e resilienza delle infrastrutture.

INFRATRUTTURE CRITICHE ED IL PROTOCOLLO ENVISION™ Perchè usare il framework Envision™ per valutare la sostenibilità e resilienza delle infrastrutture.

La pandemia in cui ci troviamo ancora immersi e con la quale non abbiamo imparato a convivere esalta ancora di più il ruolo critico delle infrastrutture per la continuità dei servizi vitali. Questo è particolarmente vero ora perché stiamo affrontando una emergenza che dilata e mescola insieme le fasi temporali, che altri eventi pur gravi ci avevano abituato invece a farci riconoscere. Un terremoto o una inondazione, piuttosto che un evento meteorologico estremo si caratterizzano molto spesso per brevità temporale di accadimento e lunghezza temporale nella gestione delle conseguenze. Ora invece è l’evento stesso che si presenta con una fase di durata temporale lunga e con lo stretto legame tra comportamento della comunità e conseguenze del suo effetto. La dilatazione della fase temporale della emergenza e la dinamicità dell’intensità dell’impatto rendono maggiormente significativo il ruolo delle infrastrutture fisiche per garantire servizi e beni alla comunità. Basti pensare alle infrastrutture collegate alla gestione del sistema sanitario, piuttosto che a tutte quelle che garantiscono servizi essenziali, come la fornitura della corrente elettrica, dell’energia, dell’acqua e del suo trattamento, della gestione dei rifiuti.

La riconosciuta criticità delle infrastrutture per garantire questi servizi essenziali fa si che il loro non o mal funzionamento innesti effetti a cascata molto gravi. Ecco allora che la loro tutela assume un valore prioritario. Perché questo possa avvenire però è necessario che i diversi portatori di interesse, ritrovando tra questi i proprietari e gestori dell’infrastruttura, chi progetta e costruisce l’infrastruttura e la stessa comunità nel cui territorio essa trova collocazione, svolgano appieno il loro compito, in particolare quando non si è in fase di emergenza.

Per compito intendo tutte quelle attività che permettono di concepire, localizzare, progettare, costruire, gestire e rinnovare o riconvertire l’infrastruttura, rendendola resiliente e quindi sostenibile per tutto il suo ciclo di vita. Il protocollo di certificazione Envision™ rappresenta proprio la guida per rendere concreto questo approccio inclusivo e con una visione temporale completa. Prima ancora che un sistema di valutazione della sostenibilità di una infrastruttura, Envision™ è il project manager che guida ogni stakeholder a svolgere bene il suo “compito”, permettendo di tutelare l’infrastruttura ed il servizio che da essa consegue. Il framework Envision™ assiste nella pianificazione, progettazione, costruzione e gestione di infrastrutture sostenibili e resilienti. In particolare ci riferiamo alle infrastrutture fisiche per esempio del settore energetico, del ciclo dell’acqua, dei rifiuti, dell’informazione, dei trasporti e del paesaggio. Nella sostanza sono presentate una serie di misure che a seconda dei casi interessano i diversi portatori di interesse, possibili differenti fasi temporali, possibili diversi livelli di applicazione. Per una dettagliata descrizione del framework Envision rimando al sito di www.envisionitalia.it, di https://sustainableinfrastructure.org/.

Il framework Envision™ si distingue dagli altri sistemi di rating di “sostenibilità”, come LEED®, Well® o Bream®, non solo per l’oggetto a cui si applica, l’infrastruttura fisica, complementare e ben distinta dagli edifici in cui la caratteristica è la presenza continuativa di persone e il focus si concentra molto sulla qualità ed il benessere di chi in essi vive o lavora.

Aspetti di struttura del protocollo

  1. Non sono presenti tra le misure da scegliere (normalmente definite “crediti” per chi già usa o conosce i protocolli) prerequisiti di categoria. Il prerequisito intende definire misure con soglie di base, che valutano quantitativamente o qualitativamente, parametri minimi da adottarsi. In genere lo scopo è quello di definire uno smarcamento tra le richieste standard della norma e il punto di partenza delle richieste del protocollo. In Envision™ è invece il diverso livello di possibile applicazione della misura, “levels of achievement” come descrivo in seguito, che di fatto definisce in genere i livelli superiori allo standard. L’approccio presente credo sia significativo, perché libera il team di progetto nella scelta sia dei crediti che dei diversi livelli di possibile raggiungimento, di fatto rendendo le misure adattabili alla tipologia di infrastruttura, al contesto in cui si collocano ed alle mutevoli esigenze della complessità del sistema in cui operano.
  2. Ogni misura ha diversi possibili livelli di raggiungimento e conseguentemente diversi possibili punteggi. Questo sistema di valutazione permette di applicare in maniera incrementale ogni singola misura, secondo il livello “improved”, “enhanced”, “superior”, “conserving” e “restorative”. I diversi livelli incorporano di fatto ed in maniera chiara non solo le logiche della mitigazione, dall’evitare l’impatto “avoid” al ridurne gli effetti con “minimization”, “abatement” e “offsetting”, ma si spinge attraverso il net zero impact fino al livello rigenerativo.
  3. Per molti crediti non sono definiti base-line a priori. Questo aspetto oltre ad essere congruente con l’assenza di prerequisiti di categoria, lascia al framework Envision la possibilità di bene adattarsi alle diverse tipologie di infrastrutture ed alle diverse situazioni tra regioni o addirittura paesi diversi.

Aspetti di impostazione di fondo

  1. Comunità, localizzazione, opera, capacità di funzionare sostenibilmente per tutto il suo ciclo di vita. Le cinque aree o categorie all’interno delle quali si sviluppano le diverse misure mirano di fatto a:
  • soppesare la capacità dei portatori di interesse a svolgere in maniera ottimale il “compito” a ciascuno assegnato e a coinvolgere fin dalla fase di pianificazione, la comunità locale. Questi aspetti si sviluppano nelle aree Quality of life e Leadership;
  • definire quantitativamente come la costruzione e gestione dell’opera interagisce con l’uso delle risorse, in particolare i materiali, l’energia e l’acqua;
  • definire affinchè l’opera interagisca positivamente con l’ambiente naturale nel quale è inserita;
  • soppesare la capacità resiliente dell’infrastruttura, nel fornire i servizi vitali che la identificano, nei confronti di eventi attesi o inaspettati che possono manifestarsi.

Come usare Envision.

  1. Envision™ è uno strumento prima ancora che un protocollo. E’ strumento di project management nella misura in cui diviene matrice sulla quale la proprietà e il team di progetto concepiscono, progettano e fanno costruire l’opera. A questo si aggiunge il coinvolgimento della comunità e dei diversi portatori di interesse, fin dalle prime fasi. Il tutto può quindi essere riconosciuto esternamente attraverso il processo di verifica di parte terza con conseguente raggiungimento dei diversi livelli di certificazione.
  2. Per gli enti gestori dell’infrastruttura Envision™ può anche essere strumento di verifica delle performance di sostenibilità nella fase di operatività dell’infrastruttura. Come ente fornitore di servizi, infatti, ci si deve chiedere in quale modo sono valutate la sostenibilità e resilienza delle infrastrutture. Envision™ aiuta in questo compito, non solo perché è già un framework strutturato ma perché può anche essere usato per definire diversi livelli di riferimento rispetto ai quali valutare le infrastrutture in gestione, capirne così gli aspetti di miglioramento possibile, definire gli obiettivi.

Envision™ diventa in questo modo lo strumento che guida le decisioni per la destinazione delle risorse in maniera oculata, mirata e soprattutto finalizzata alla continuità del servizio durante il ciclo di vita dell’infrastruttura.

 

Possibili miglioramenti ed evoluzioni

La pandemia in corso ci sta insegnando molte cose perché evidenzia, purtroppo attraverso la dolorosa e drammatica esperienza diretta, le vulnerabilità del sistema socio-tecnologico che finora abbiamo sviluppato. In questo anche le infrastrutture sono pienamente coinvolte.

Basti pensare a tutta l’area del trasporto pubblico, in particolare nelle grandi città. La sua impostazione è basata unicamente sul perseguimento dell’efficienza della prestazione (tasso di occupazione dei mezzi), questo parametro però diviene ora elemento di minaccia e pericolo per l’utenza e quindi in contrasto con la stessa missione del servizio di trasporto pubblico.

Da questo alcune considerazioni:

La categoria Climate and Resilience del protocollo credo possa dare un contributo fondamentale per affrontare il tema dei pericoli e delle vulnerabilità, sopra evidenziato.  Per fare questo ritengo auspicabile, a maggior ragione per il ruolo critico svolto dalle infrastrutture, una evoluzione delle misure richieste dal Risk assessment al Resilience assessment. Questo significa non solo richiedere l’applicazione di strategie di riduzione del rischio che si caratterizzino per rendere il sistema inclusivo, robusto, flessibile, ridondante…. (vedi i riferimenti al Rockfeller Foundation’s City Resilience Framework in CR 2.4…), ma cogliere meglio la variabile temporale e le diverse fasi del ciclo di resilienza che la infrastruttura deve affrontare durante un evento distruttivo.

Anche quanto richiesto in CR2.6 relativamente all’integrazione delle infrastrutture fisiche ritengo dovrebbe andare oltre la sola finalità di migliorare l’efficienza dei servizi resi, ma indagare la loro interdipendenza e valutare quanto possono vicendevolmente aiutarsi per garantire livelli minimi di servizio, durante eventi distruttivi.

Considerazioni finali

Infine, dopo avere voluto condividere qui queste riflessioni su alcuni aspetti che ritengo positivi dello strumento Envision, mi riprometto di approfondire altri in seguito, rimanendo a disposizione di chi volesse avere altre specifiche indicazioni e/o magari iniziare un percorso di miglioramento della sostenibilità e resilienza, con l’uso diretto di Envision™.

www.remigiorancan.com

 

 

 

 

 

Servizi ed infrastrutture urbane resilienti e reattive.

Servizi ed infrastrutture urbane resilienti e reattive.

Alcune considerazioni alla conclusione dell’attività individuata dalla città di #Vicenza, come azione pilota del Progetto #EPICUROEU.

Il progetto EPICURO, www.epicurocp.eu, European Partnership for Urban Resilience, finanziato da European Commission’s Humanitarian Aid and Civil Protection department (ECHO) ha avuto il 6 Dicembre il suo evento conclusivo a Londra, presso il partner tecnico di progetto TCPA UK. A completamento dell’azione pilota del progetto per la città di Vicenza, “Valutazione dei servizi e delle infrastrutture del territorio comunale di Vicenza e individuazione di un percorso virtuoso di incremento delle performance di resilienza della città attraverso l’uso di software dedicati”, lo scorso 20 e 27 Novembre ’18 ho condotto il secondo e terzo Workshop. Gli incontri hanno avuto una impostazione molto operativa, sviluppando l’analisi ed il confronto sulla interdipendenza dei servizi e delle infrastrutture urbane e gli effetti cascata, associati a possibili impatti. La valenza dimostrativa propria dell’azione pilota e i tempi richiesti dal progetto Epicuro non hanno permesso di coinvolgere tutti i servizi urbani della città, in questa fase erano comunque presenti i referenti di 17 Servizi urbani con relativo maggiore numero di infrastrutture collegate. In particolare i servizi coinvolti appartengono ai settori Sanitario, del ciclo dell’Acqua, della distribuzione dell’Energia Elettrica, della Mobilità, del ciclo dei rifiuti, della gestione del Verde pubblico, dell’Emergenza. Per condurre l’analisi guidata ed il confronto tra gli operatori ho usato lo strumento digitale innovativo HAZUR®, sviluppato dalla startup Opticits, www.opticits.com, della quale sono partner italiano. Prima di questi due workshop ho provveduto ad incontrare presso le diverse sedi i fornitori dei Servizi, avendo quindi un primo diretto confronto e riuscendo così a completare una raccolta dati preliminare, con focus sulle interrelazioni presenti. Lo strumento Hazur®, oltre che aver guidato l’introduzione dei dati, ha nello sviluppo dell’incontro permesso la facilitata visualizzazione grafica della proposta, la possibilità del suo aggiornamento, mano a mano che la discussione tra gli operatori prendeva forma e la possibilità di gestire i diversi confronti, anche a livello di singole infrastrutture. Dopo questi incontri emergono già alcune considerazioni, sia di carattere generale e sia più specifico, che ritengo importanti e che voglio condividere, per il contributo essenziale al miglioramento della resilienza urbana della città. Fin dall’inizio è necessario definire e ribadire i confini del sistema di riferimento, in questo caso il territorio comunale della città di Vicenza. Questo è necessario, in particolare in fase di analisi iniziale per definire l’ambiente operativo di confronto e potere in una fase successiva meglio comprendere la fascia di correlazione con i territori contermini e gli scambi in-out dell’ambiente, così definito. Tale definizione è utile sempre, ma in particolare quando sono gli operatori stessi ad avere in carico la gestione e fornitura di servizi, con estensione sovra comunale. Alla definizione dei limiti del sistema è necessario sempre riconfermare che cosa intendiamo per resilienza urbana e nello specifico come i servizi urbani ad essa possano contribuire. Essendo i servizi urbani e le loro infrastrutture funzioni vitali per la città, essi ne definiscono l’identità e la capacità di sopravvivere in condizioni mutevoli nel tempo. Questa capacità di pianificare ed eventualmente anticipare i cambiamenti, di affrontarli quando accadono per assorbirne le conseguenze se negative o coglierne le opportunità se positive, di recuperare, adattarsi o trasformarsi quando necessario, manifesta proprio quello che intendiamo come resilienza dei servizi urbani. Per quanto sopra ribadito, è apparso subito chiaro agli operatori coinvolti, l’esigenza del coinvolgimento comune dei fornitori e gestori dei servizi e infrastrutture. Non è possibile affrontare la complessità del sistema urbano da soli e limitare gli obiettivi solo a quelli di efficienza della prestazione del singolo servizio reso. 

E’ necessario stabilire un percorso di connessione, in cui la condivisione di informazioni con gli “altri” ed il livello di relazione possono essere elementi chiave per la sopravvivenza del servizio, in condizioni mutevoli. Quali informazioni condividere, come gestirle e chi le deve gestire è tema di possibile aperta evoluzione. Esso però si basa proprio su quanto si elabora nell’analisi iniziale. Comprendere il grado di interdipendenza reciproca, sia a livello di servizio che di infrastrutture essenziali, trasla l’attenzione sui valori fondamentali, sulla complementarietà tra i diversi operatori, nella condivisione di un comune ambiente di azione, il sistema urbano. Esistono già dei protocolli di intesa tra alcuni servizi, con l’obiettivo di facilitare iter autorizzativi, gestire tempi di intervento e riduzione di costi ( si pensi ad interventi manutentivi comuni su assi stradali con presenza di infrastrutture di rete gestite da diversi fornitori). Esistono già dei protocolli d’intesa tra fornitore di servizio e servizi di emergenza ( si pensi a convenzioni per il supporto di attività specifiche previste dal Piano comunale di emergenza e coordinate dalla Protezione Civile). Tali accordi però, in genere bilaterali, mirano o all’efficienza della prestazione in condizioni di stabilità dell’ambiente operativo o a definire modalità di supporto ai servizi che istituzionalmente sono demandati alla gestione delle crisi. Risulta innovativo, invece, la possibilità di sviluppare strategie comuni per garantire la prestazione, anche in termini di servizio minimo, in condizioni mutevoli che interessano l’ambiente di azione o l’ente stesso, che gestisce quel servizio. Da queste considerazioni sembrano quindi già delinearsi possibili progetti sinergici che consentano di operare anche quando cambiano le condizioni di equilibrio.

Essere una città resiliente non è di per se’ una qualità positiva, a maggior ragione se il ciclo temporale, in cui tale capacità è chiamata a manifestarsi, si protrae senza scadenza e il livello qualitativo di vita, di chi abita la città, non riesce a trovare nuovi e dinamici equilibri. L’operatività e reattività dei servizi e delle infrastrutture urbane risulta quindi determinante per l’intera città e ne condiziona fortemente la sua capacità di recuperare da situazioni di crisi, ma in tempi brevi.

Città di Vicenza 30 Ottobre 2018 – Azione pilota Progetto Epicuro – Servizi ed infrastrutture urbane. Analisi delle interdipendenze e dell’effetto cascata.

Città di Vicenza 30 Ottobre 2018 – Azione pilota Progetto Epicuro – Servizi ed infrastrutture urbane. Analisi delle interdipendenze e dell’effetto cascata.

Il giorno martedì 30 Ottobre ho condotto, come consulente per il miglioramento della resilienza urbana e partner italiano di #Opticits, il primo workshop relativo alla valutazione delle interdipendenze dei servizi e delle infrastrutture urbane e dell’effetto cascata, per la città di #Vicenza. Ha condiviso con me la guida del workshop, la dott.ssa Ester Vendrell di Opticits (www.opticits.com). Questa prima attività è parte del percorso previsto, per la città di Vicenza, in seno all’azione pilota del progetto Epicuro, European partnership for urban resilience (www.epicurocp.com), finanziato dal dipartimento della Protezione civile ed Aiuti umanitari della Commissione Europea, di cui Vicenza è coordinatrice.Obiettivo dell’azione pilota è la valutazione dei servizi e delle infrastrutture urbane del territorio comunale della città di Vicenza e l’individuazione di un percorso virtuoso di incremento delle performance di resilienza della città, attraverso l’uso di software dedicati. All’incontro erano presenti referenti di servizi urbani ed infrastrutture appartenenti ai diversi settori essenziali per la città, quali energia, acqua, salute pubblica, ambiente, rifiuti e pulizia, mobilità, emergenza, sicurezza pubblica, comunicazione…, oltre i referenti dei diversi dipartimenti del Comune di Vicenza, i componenti del gruppo URST del progetto Epicuro, tra cui Legambiente. I lavori sono stati introdotti dall’intervento dell’assessore Lucio Zoppello per l’amministrazione di Vicenza e da quelli del dott. Fabio Cestonaro e dott. Alberto Rigon, responsabili e project manager del progetto Epicuro, per il Comune di Vicenza. L’analisi verrà condotta attraverso l’utilizzo dello strumento innovativo sviluppato dalla startup Opticits, di Barcellona Spagna, HAZUR® che ci permetterà di tradurre in processi operativi e visualizzazioni concrete le relazioni esistenti di interdipendenza tra i servizi urbani. L’obiettivo di base è duplice. Da un lato accrescere in maniera condivisa la capacità di attuare una gestione trasversale dei servizi e delle infrastrutture urbane. Dall’altro questa attività permetterà di individuare concretamente le azioni di miglioramento e quindi predisporre i successivi conseguenti progetti. L’azione pilota prevede anche la valutazione delle interdipendenze, quando sottoposte a shocks specifici, che nel caso della città di Vicenza, sono stati individuati dall’analisi SWOT del progetto Epicuro, negli impatti relativi all’Alluvione e Ondate di calore. L’azione pilota è così definita perché vuole essere dimostrativa, nei confronti delle altre città e partners europei del progetto Epicuro, dell’utilizzo di uno strumento operativo, HAZUR®, che traduce in termini concreti la valutazione ed il miglioramento della resilienza e della reattività della città. La città di Vicenza ha di fatto già adottato lo strumento innovativo Hazur®, oltre i termini previsti dal progetto Epicuro, con esso si prefigge di coordinare le azioni prossime e future per la città resiliente e reattiva, quindi capace di perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile di cui anche all’agenda SDG 2030. Ritengo significativo l’approccio scelto che parte dall’analisi dei servizi e delle infrastrutture essenziali per la città, in quanto :

1) La valutazione ed i conseguenti progetti di miglioramento non nascono prioritariamente come reazione ad analisi di rischio o a scenari futuri di rischio. In altri termini, stiamo cercando di traslare l’attenzione dall’obiettivo di efficienza della prestazione in condizioni previste, all’obiettivo di esistenza della prestazione, in condizioni che possono cambiare in maniera inaspettata e non prevedibile.

2) Questo approccio rimarca l’importanza degli aspetti di organizzazione, condivisione delle informazioni e governance dei servizi urbani tanto quanto quelli di gestione e miglioramento delle infrastrutture fisiche, essenziali per lo svolgimento del servizio stesso.Nel primo incontro la partecipazione degli operatori è risultata sentita, con contributo effettivo allo sviluppo della discussione ed analisi.Ora seguiranno una fase di raccolta dati ed i successivi workshop, nei prossimi due mesi e dei quali cercherò di descriverne gli ulteriori sviluppi.

Chioggia – Venezia. 16 Aprile 2018. Scuola secondaria di I° Grado Nicolò De Conti. ” I disastri non sono mai naturali”. Incontro con le classi 1^ e 3^.

Chioggia – Venezia. 16 Aprile 2018. Scuola secondaria di I° Grado Nicolò De Conti. ” I disastri non sono mai naturali”. Incontro con le classi 1^ e 3^.

Ho accolto con grande piacere l’invito rivoltomi dalla Scuola Media Nicolò De Conti, dell’Istituto comprensivo Chioggia 4. Mi è stata data l’opportunità di condividere alcune esperienze con i ragazzi, a valle di un loro percorso  sul tema della relazione tra attività umana e conseguenze sull’ambiente naturale, rischio e disastri. Questo percorso li ha impegnati per più mesi e si è concluso con la visita alla diga del Vajont, dove hanno potuto concretamente vedere gli effetti di un disastro che ha ben poco a che fare con l’aggettivo “naturale”. Ho condiviso con loro l’importanza di comprendere con di fatto ” i disastri non sono naturali”, lo possono essere gli eventi, come un terremoto, un tornado, un uragano, una forte inondazione, ma in genere essi si trasformano in disastri quando coinvolgono territori e città, vulnerabili per come sono stati costruiti, vulnerabili per come sono governati, vulnerabili per le iniquità sociali presenti… Ho mostrato anche come i mezzi tecnologici, la diffusione delle informazioni, la coesione sociale possono  aiutare, se opportunamente usati, a sviluppare la capacità di affrontare e superare eventi drammatici anche non previsti. Mi ha stupito l’attenzione dei ragazzi, ancora molto giovani, su questi temi e il loro coinvolgimento nel formulare domande, anche con riferimento alla realtà quotidiana della loro città. I ragazzi non sono solo una speranza verde, mi hanno arricchito con una iniezione di “resilienza…”.

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Vicenza, 23 Marzo 2018. Progetto Epicuro. C2 Activity – Local training Open Session. «Resilienza urbana»  La strategia per adattarsi all’incertezza.

Vicenza, 23 Marzo 2018. Progetto Epicuro. C2 Activity – Local training Open Session. «Resilienza urbana» La strategia per adattarsi all’incertezza.

Il progetto EPICURO è un progetto della durata di due anni e finanziato dalla Direzione Generale per la Protezione Civile e le operazioni di Auto Umanitario Europee, con lo scopo di promuovere la condivisione di buone pratiche di resilienza urbana e adattamento ai cambiamenti climatici, implementate a livello internazionale, europeo e locale. In seno all’attività C2 – Local training, si è svolta a Vicenza, nel salone centrale di Palazzo Cordellina, una sessione pubblica di formazione ed informazione sulla resilienza urbana rivolta in particolare alle pubbliche amministrazioni del territorio e alle città partecipanti al progetto. Ho contribuito all’incontro come relatore, condividendo lo scambio di esperienze e testimonianze con Piero Pellizzaro, responsabile delle politiche ed iniziative di resilienza urbana presso il Comune di Milano, in particolare in qualità di Chef Resilience Officer del progetto 100 resilient cities, della Rockfeller Foundation. Con il mio intervento :” Resilienza urbana”. La strategia per adattarsi all’incertezza. Ho voluto in particolare definire il rapporto tra resilienza urbana e politiche di sostenibilità e tra resilienza ed analisi e gestione tradizionale del rischio. Le misure di adattamento ai cambiamenti climatici non possono prescindere dal contesto esistente del tessuto urbano in cui vengono introdotte, potendo essere anche peggiorative se non precedute dalla valutazione della situazione esistente, in termini di vulnerabilità fisica, sociale e di governance. L’obiettivo di fondo è aumentare la capacità della città di crescere e svilupparsi nel cambiamento, affrontando e recuperando velocemente dagli eventi distruttivi e cogliendo le opportunità di crescita e miglioramento, quando esse si possono manifestare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trasformazione urbana “resiliente”. Quando e come la riqualificazione “sostenibile”, del patrimonio edilizio esistente, contribuisce alla rigenerazione della citta’.

Trasformazione urbana “resiliente”. Quando e come la riqualificazione “sostenibile”, del patrimonio edilizio esistente, contribuisce alla rigenerazione della citta’.

Premessa

Pubblico anche nel mio sito, l’articolo che ho scritto per la rivista on line INGENIO e la GAZZETTA di Ingenio dello scorso mese di Marzo. Contiene alcuni punti chiave della mia visione su come solo attraverso il miglioramento della resilienza urbana, sia possibile perseguire uno sviluppo sostenibile nel tempo.

Introduzione

Mi è data la possibilità di scrivere questo articolo, in qualità di coordinatore del gruppo di lavoro “resilienza” in seno al Green Building Council Italia. Circa due anni fa, GBC Italia ha costituito uno specifico comitato di prodotto, con lo scopo di far nascere un protocollo che rispondesse al tema impellente della riqualificazione degli edifici esistenti, con particolare riferimento ai “Condomini” a destinazione residenziale. A supporto di questa azione è nato il gruppo di lavoro “resilienza”, affiancandosi così ai gruppi già presenti in GBC Italia.  Questi approfondiscono e sviluppano le aree tematiche specifiche dei protocolli di matrice LEED®, quali la sostenibilità del sito, la sua localizzazione in funzione della mobilità associata, l’uso e la gestione dell’energia, l’uso e la gestione dell’acqua, l’utilizzo dei materiali e delle risorse, la qualità ambientale interna, l’innovazione del processo edilizio. A testimonianza del lavoro che hanno già svolto, non vi è solo l’introduzione e l’adattamento dei protocolli LEED® in Italia a partire dal 2008, ma la nascita e lo sviluppo di protocolli a marchio GBC, come GBC HOME® (per gli edifici residenziali), GBC Quartieri® (aree di espansione o rigenerazione), GBC Historic Building® (specifico per edifici con valenza storica).

Riqualificazione “sostenibile”

Il protocollo “Condomini” di GBC Italia, ora nella sua fase finale di validazione da parte del Comitato tecnico scientifico, vuole proporsi come strumento di qualità che guida il team di progetto nella riqualificazione e successiva gestione sostenibile del Condominio esistente.

Il contributo, che il gruppo di lavoro “resilienza” porta all’interno di questo progetto, nasce innanzitutto dal bagaglio di conoscenze ed esperienze di attività professionale di chi proviene dall’area tecnica dell’ingegneria civile ed in particolare strutturale. Nella sua azione di individuazione, analisi e riduzione del “rischio”, ha però avuto significative esperienze di commistione con le conseguenze degli impatti ambientali, determinati dall’attività umana, con particolare riferimento a quella industriale.

Figura 1 – “Our Common future” Rapporto Commissione Bruntland. Nazioni Unite 1987.

Osservando l’approccio alla riqualificazione sostenibile dell’edificio esistente quello che emerge subito è la quasi totale assenza di misure specifiche “green”, soppesate anche secondo i criteri di riduzione e gestione del rischio, propri dell’ingegneria civile e strutturale. Cercando di trovarne ragione nel confronto con altri colleghi (nel senso di LEED® AP, ma usualmente architetti o ingegneri appartenenti all’ ambito impiantistico/energetico) le risposte ricevute spaziano dalla più generica e frequente affermazione che i temi della sicurezza non appartengono al concetto di “sostenibilità”, ad altre che, in maniera forse più comprensibile per chi conosce la struttura dei protocolli “green building”, risolvono la questione rimandando ai requisiti minimi per l certificazione e quindi al rispetto implicito dei codici strutturali. Non ritengo queste risposte esaurienti e soddisfacenti: si aggrappano ancora alla definizione di sostenibilità o, meglio, di sviluppo sostenibile derivante dal lavoro della Commissione Bruntland delle Nazioni Unite del 1987. Asseriva: “Sviluppo che soddisfa le necessità del presente, senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni”.

Fin a partire dai primi anni ’90, la nascita e l’evoluzione dei protocolli di sostenibilità “green building” hanno basato la propria azione definendo obiettivi, strumenti e misure “green” proprio con lo scopo di perseguire quel principio. Nel corso di più di 25 anni, i protocolli di sostenibilità hanno avuto progressive evoluzioni, alzando il livello dei parametri richiesti e dimostrando il raggiungimento di obiettivi misurabili in termini : di ottimizzazione del processo di progettazione dell’intervento edilizio; di minore uso delle risorse e di materiali, acqua, energia; di evoluzione e razionalizzazione impiantistica; di miglioramento della qualità ambientale interna dell’edificio e quindi della salute dei suoi occupanti. I risultati raggiunti, nei casi ove applicati, sono evidenti. Con una visione più generale, tuttavia, non possiamo certo dire che oggi l’obiettivo di fondo di una completa trasformazione del mercato edilizio, secondo quei principi “green” di sviluppo sostenibile, possa dirsi raggiunto. Anzi, negli ultimi anni gli effetti dei cambiamenti climatici hanno reso evidente, anche ai non tecnici, come l’applicazione di quelle misure “green” non sono sufficienti. Non lo sono perché gli effetti dei cambiamenti climatici, piuttosto che di altri eventi/pericoli naturali o generati dall’uomo, non hanno fatto e non fanno distinzione tra edifici “green” o non “green”. Urge lo studio, l’introduzione e la contemporanea applicazione di misure di adattamento alle diverse condizioni che determinano tali effetti.

Figura 2 – In senso orario da sx. A. Terremoto Centro Italia 2016. Amatrice – Scuola Romolo Capranica.www.reluis.it. B. Venezia Tornado 2012. C. Vicenza. Alluvione del 2010.

La stessa O.N.U., nel processo che ha poi portato alla definizione dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ha decisamente modificato la definizione di quest’ultimo, della Commissione Bruntland. Di fatto in occasione dell’incontro del Comitato preparatorio alla terza conferenza delle Nazioni Unite sulla Riduzione del Rischio di disastri, a Ginevra nel 2014, si afferma “…the sustainability of development depends on its ability to prevent new risks and the reduction of existing risk…”. La sostenibilità dello sviluppo dipende dalla sua abilità di prevenire nuovi rischi e dalla riduzione di quelli esistenti.

Di conseguenza, il protocollo di “sostenibilità” non può perseguire i principi ideali senza confrontarsi con la realtà esistente e quindi anche con le vulnerabilità che possono minarne il loro raggiungimento e mantenimento nel tempo. Con questo obiettivo nel protocollo “Condomini”, il contributo del gruppo di lavoro “resilienza” consiste proprio nell’offrire gli strumenti al team di progetto, per sviluppare un percorso di indagine e conoscenza preliminare dell’edificio. Esso permette di individuare pericoli e vulnerabilità, elementi base del processo di valutazione e riduzione del rischio. Tra questi, valutati come prerequisiti, è inserita anche la classificazione sismica dell’edificio, secondo i disposti del D.M. n.58 del 28.02.2017. Ciò è significativo, perché avviene indipendentemente dall’entità della ristrutturazione/riqualificazione e quindi dai casi per cui la stessa è obbligo di legge. Sono inoltre individuate come crediti, a scelta del team di progetto, misure che affrontano il tema della riduzione del rischio sismico, idrogeologico e del rischio incendio. Sono state scelti questi tre ambiti, in quanto significativi dal punto di vista dell’incidenza dei percoli ad essi correlati nel contesto territoriale italiano. L’analisi preliminare permette anche di individuare altre aree su cui potere sviluppare poi misure di adeguamento/miglioramento, premiate nell’ambito dei crediti dell’area innovazione di progetto.

Figura 3 – Immagine riassuntiva dei SDG(s). Nazioni Unite Agenda 2030.

Trasformazione urbana resiliente

Ritengo molto importante e significativo fare incontrare azione di riduzione e gestione del rischio e misure “green” nello stesso protocollo che guida la riqualificazione “sostenibile” dell’edificio. Esso è preludio ad una successiva fase di valutazione, in chiave di sicurezza e riduzione del rischio, delle misure “green” che già tradizionalmente sono presenti nei protocolli di sostenibilità. In questo modo la misura o l’azione di sostenibilità diventa effettivamente tale, perché racchiude in sé anche la capacità di affrontare e superare eventi, che interesseranno l’edificio nel suo prolungato ciclo di vita.

Per la riqualificazione degli edifici esistenti ci è data un’unica possibilità, che difficilmente può essere rimediata, se non svolta in maniera corretta. Pensare quindi di introdurre misure “green” secondo standard e requisiti superiori a quelli della norma di legge e lasciare tematiche come, per esempio, quelle della sicurezza strutturale antisismica all’obbligo di legge, appare contraddittorio. E’ inoltre maggiormente contraddittorio quando l’edificio su cui si deve intervenire è un edificio esistente che ha già maturato se non superato il proprio ciclo di vita. Infatti esso è stato costruito, molto probabilmente, prima degli “obblighi di legge”, ai quali, la sicurezza dell’edifico e soprattutto dei suoi abitanti, dovrebbe essere demandata.

Ecco allora che la riqualificazione “sostenibile” (nel senso sopra dato…) degli edifici esistenti può solo in questo modo contribuire appieno al processo di rigenerazione della città. Questo è un processo più vasto che coinvolge non solo l’ambiente fisico degli edifici privati e pubblici, delle infrastrutture, della mobilità e delle reti, ma anche quello dei servizi, della informazione e sopra tutti quello della loro governance. Perché rigenerare la città? Non è una scelta, ma una necessità. Nasce dal dovere rispondere ad una semplice domanda: Come affrontare l’incertezza del futuro in un mondo in continuo cambiamento?

Le città rappresentano i sistemi che già oggi pur costituendo solo il 3% della superficie terrestre, pesano per il 65% delle emissioni in atmosfera e attrarranno, nel 2050, il 70% della popolazione mondiale. Questi elementi, abbinati alla piena interconnessione tra i domini fisico, sociale, cognitivo e della informazione, possono rendere più fragili le città, per come fino ad ora concepite. In questo senso, negli ultimi tempi, emerge la necessità di aumentare la capacità del sistema socio-ecologico “città” nel riuscire a continuare a fornire servizi e vivibilità ai propri cittadini, indipendentemente da quali stress esso possa essere sottoposto. In altri termini tale capacità viene riconosciuta alla città come capacità di essere resiliente. E’questa la sfida con la quale singoli cittadini, comunità, i vari stakeholders coinvolti nel processo di rigenerazione, chi ha il potere decisionale, sono chiamati a confrontarsi.

Ecco allora che, in questa chiave, ogni singola decisione e misura presa per riqualificare anche il singolo edificio, con l’ambizione di prolungarne il ciclo di vita e proiettarlo nell’incertezza del cambiamento generale in atto, assume maggiore importanza non solo per chi poi lo abiterà, ma per l’intera città in cui è collocato.

Resilienza… definizione nel contesto della trasformazione urbana

Resilienza… definizione nel contesto della trasformazione urbana

Di questo termine esistono numerose definizioni ed interpretazioni e spesso la sua applicazione, in campi anche molto diversi tra loro, dal sociale a quello economico ed ancora a quello medico e ingegneristico, determina grande confusione ed in vari casi incomprensioni. Inoltre la sua sempre maggiore diffusione porta anche ad eccessi d’uso e fuorvianti interpretazioni per sostenere ogni possibile argomentazione.

E’ necessario, in qualche modo contestualizzare la definizione del termine resilienza al “sistema” al quale vogliamo riferirci. In questo senso, voglio riferirmi al sistema dell’ambiente costruito, intendendo in principale modo il contesto urbano della città  nelle sue componenti fisiche ( infrastrutture, edifici, quartieri, reti impiantistiche), organizzative ( la gestione delle informazioni e la loro interpretazione ai vari livelli di governance, i servizi resi), sociali ( le comunità e gli individui che sono tra loro connessi).

Il termine resilienza deriva dal latino “resalio” risalire con particolare riferimento alla connotazione del gesto di risalire sulla imbarcazione capovolta dalla forza del mare…. ritroviamo in essa elementi basilari della sua interpretazione, quali :

  • Impatto : “forza del mare”;
  • Evento : “ capovolgimento”
  • Contesto fisico : “ mare ed imbarcazione”
  • Contesto sociale sottointeso : “ pescatore, marinaio…”
  • Azione di recupero : “ risalire”.

Potremmo quindi riferirci alla capacità del sistema di recuperare e ritornare allo stato precedente l’impatto che ha determinato l’evento, in questo caso, drammatico di perdita di equilibrio ( la navigazione dell’imbarcazione…). In realtà numerosi studi e ricerche hanno profondamente evoluto tale definizione di base e per il contesto del sistema al quale ci riferiamo, mi piace riportare quella dell’organizzazione 100 Resilient Cities della Rockefeller Foundation[1], con riferimento proprio alla resilienza urbana :

“Urban resilience is the capacity of individuals, communities, institutions, businesses, and systems within a city to survive, adapt, and grow no matter what kinds of chronic stresses and acute shocks they experience”.

Questa definizione può essere integrata in maniera più specifica con riferimento alla resilienza ai disastri e condivido in particolare quella della statunitense National Academy of Science ( NAS) che definisce:

Disaster resilience…the ability to prepare and plan for, absorb, revover from, and more successfully adapt to adverse events”[2].

Quindi la resilienza del sistema, definito nei suoi limiti e confini, rappresenta la capacità di prepararsi e pianificare per, assorbire, recuperare da, e con maggiore successo adattarsi alle avverse condizioni.

Per cui se il sistema a cui ci riferiamo è quello sopra definito della “città” nelle sue possibili diverse dimensioni di scala ( area metropolitana, quartiere, comunità e singolo edificio…), capire quanto la città è resiliente ai sempre più frequenti shocks e stress è un prerequisito funzionale a concepire i progetti di trasformazione urbana in maniera realmente sostenibile nel tempo.

 

[1] http://www.100resilientcities.org/#/-_/

[2] Committee on Increasing National Resilience to Hazards and Disasters 2012.

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Remigio Antonio Rancan

Sono ingegnere civile edile, abilitato alla libera professione dal 1992. Ho maturato una pluriennale esperienza nell’applicazione di strategie di riduzione del rischio, per il miglioramento di edifici ed infrastrutture esistenti ed al fine di rendere le comunità meno vulnerabili a pericoli naturali e derivati dall’azione dell’uomo. Come professionista accreditato nei rating systems per la trasformazione urbana sostenibile, conosco ed applico differenti misure “green”.

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La mia missione oggi consiste nell’affiancare organizzazioni, imprese e città a svilupparsi e crescere in un ambiente in continuo ed incerto cambiamento. Li guido nel percorso di valutazione della resilienza delle funzioni critiche. Permetto così ai decisori di collocare le risorse per i progetti di trasformazione urbana ed infrastrutturale, in base al contributo di questi alla resilienza ai disastri dell’intero sistema.

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