Premessa
Pubblico anche nel mio sito, l’articolo che ho scritto per la rivista on line INGENIO e la GAZZETTA di Ingenio dello scorso mese di Marzo. Contiene alcuni punti chiave della mia visione su come solo attraverso il miglioramento della resilienza urbana, sia possibile perseguire uno sviluppo sostenibile nel tempo.
Introduzione
Mi è data la possibilità di scrivere questo articolo, in qualità di coordinatore del gruppo di lavoro “resilienza” in seno al Green Building Council Italia. Circa due anni fa, GBC Italia ha costituito uno specifico comitato di prodotto, con lo scopo di far nascere un protocollo che rispondesse al tema impellente della riqualificazione degli edifici esistenti, con particolare riferimento ai “Condomini” a destinazione residenziale. A supporto di questa azione è nato il gruppo di lavoro “resilienza”, affiancandosi così ai gruppi già presenti in GBC Italia. Questi approfondiscono e sviluppano le aree tematiche specifiche dei protocolli di matrice LEED®, quali la sostenibilità del sito, la sua localizzazione in funzione della mobilità associata, l’uso e la gestione dell’energia, l’uso e la gestione dell’acqua, l’utilizzo dei materiali e delle risorse, la qualità ambientale interna, l’innovazione del processo edilizio. A testimonianza del lavoro che hanno già svolto, non vi è solo l’introduzione e l’adattamento dei protocolli LEED® in Italia a partire dal 2008, ma la nascita e lo sviluppo di protocolli a marchio GBC, come GBC HOME® (per gli edifici residenziali), GBC Quartieri® (aree di espansione o rigenerazione), GBC Historic Building® (specifico per edifici con valenza storica).
Riqualificazione “sostenibile”
Il protocollo “Condomini” di GBC Italia, ora nella sua fase finale di validazione da parte del Comitato tecnico scientifico, vuole proporsi come strumento di qualità che guida il team di progetto nella riqualificazione e successiva gestione sostenibile del Condominio esistente.
Il contributo, che il gruppo di lavoro “resilienza” porta all’interno di questo progetto, nasce innanzitutto dal bagaglio di conoscenze ed esperienze di attività professionale di chi proviene dall’area tecnica dell’ingegneria civile ed in particolare strutturale. Nella sua azione di individuazione, analisi e riduzione del “rischio”, ha però avuto significative esperienze di commistione con le conseguenze degli impatti ambientali, determinati dall’attività umana, con particolare riferimento a quella industriale.

Figura 1 – “Our Common future” Rapporto Commissione Bruntland. Nazioni Unite 1987.
Osservando l’approccio alla riqualificazione sostenibile dell’edificio esistente quello che emerge subito è la quasi totale assenza di misure specifiche “green”, soppesate anche secondo i criteri di riduzione e gestione del rischio, propri dell’ingegneria civile e strutturale. Cercando di trovarne ragione nel confronto con altri colleghi (nel senso di LEED® AP, ma usualmente architetti o ingegneri appartenenti all’ ambito impiantistico/energetico) le risposte ricevute spaziano dalla più generica e frequente affermazione che i temi della sicurezza non appartengono al concetto di “sostenibilità”, ad altre che, in maniera forse più comprensibile per chi conosce la struttura dei protocolli “green building”, risolvono la questione rimandando ai requisiti minimi per l certificazione e quindi al rispetto implicito dei codici strutturali. Non ritengo queste risposte esaurienti e soddisfacenti: si aggrappano ancora alla definizione di sostenibilità o, meglio, di sviluppo sostenibile derivante dal lavoro della Commissione Bruntland delle Nazioni Unite del 1987. Asseriva: “Sviluppo che soddisfa le necessità del presente, senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni”.
Fin a partire dai primi anni ’90, la nascita e l’evoluzione dei protocolli di sostenibilità “green building” hanno basato la propria azione definendo obiettivi, strumenti e misure “green” proprio con lo scopo di perseguire quel principio. Nel corso di più di 25 anni, i protocolli di sostenibilità hanno avuto progressive evoluzioni, alzando il livello dei parametri richiesti e dimostrando il raggiungimento di obiettivi misurabili in termini : di ottimizzazione del processo di progettazione dell’intervento edilizio; di minore uso delle risorse e di materiali, acqua, energia; di evoluzione e razionalizzazione impiantistica; di miglioramento della qualità ambientale interna dell’edificio e quindi della salute dei suoi occupanti. I risultati raggiunti, nei casi ove applicati, sono evidenti. Con una visione più generale, tuttavia, non possiamo certo dire che oggi l’obiettivo di fondo di una completa trasformazione del mercato edilizio, secondo quei principi “green” di sviluppo sostenibile, possa dirsi raggiunto. Anzi, negli ultimi anni gli effetti dei cambiamenti climatici hanno reso evidente, anche ai non tecnici, come l’applicazione di quelle misure “green” non sono sufficienti. Non lo sono perché gli effetti dei cambiamenti climatici, piuttosto che di altri eventi/pericoli naturali o generati dall’uomo, non hanno fatto e non fanno distinzione tra edifici “green” o non “green”. Urge lo studio, l’introduzione e la contemporanea applicazione di misure di adattamento alle diverse condizioni che determinano tali effetti.

Figura 2 – In senso orario da sx. A. Terremoto Centro Italia 2016. Amatrice – Scuola Romolo Capranica.www.reluis.it. B. Venezia Tornado 2012. C. Vicenza. Alluvione del 2010.
La stessa O.N.U., nel processo che ha poi portato alla definizione dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ha decisamente modificato la definizione di quest’ultimo, della Commissione Bruntland. Di fatto in occasione dell’incontro del Comitato preparatorio alla terza conferenza delle Nazioni Unite sulla Riduzione del Rischio di disastri, a Ginevra nel 2014, si afferma “…the sustainability of development depends on its ability to prevent new risks and the reduction of existing risk…”. La sostenibilità dello sviluppo dipende dalla sua abilità di prevenire nuovi rischi e dalla riduzione di quelli esistenti.
Di conseguenza, il protocollo di “sostenibilità” non può perseguire i principi ideali senza confrontarsi con la realtà esistente e quindi anche con le vulnerabilità che possono minarne il loro raggiungimento e mantenimento nel tempo. Con questo obiettivo nel protocollo “Condomini”, il contributo del gruppo di lavoro “resilienza” consiste proprio nell’offrire gli strumenti al team di progetto, per sviluppare un percorso di indagine e conoscenza preliminare dell’edificio. Esso permette di individuare pericoli e vulnerabilità, elementi base del processo di valutazione e riduzione del rischio. Tra questi, valutati come prerequisiti, è inserita anche la classificazione sismica dell’edificio, secondo i disposti del D.M. n.58 del 28.02.2017. Ciò è significativo, perché avviene indipendentemente dall’entità della ristrutturazione/riqualificazione e quindi dai casi per cui la stessa è obbligo di legge. Sono inoltre individuate come crediti, a scelta del team di progetto, misure che affrontano il tema della riduzione del rischio sismico, idrogeologico e del rischio incendio. Sono state scelti questi tre ambiti, in quanto significativi dal punto di vista dell’incidenza dei percoli ad essi correlati nel contesto territoriale italiano. L’analisi preliminare permette anche di individuare altre aree su cui potere sviluppare poi misure di adeguamento/miglioramento, premiate nell’ambito dei crediti dell’area innovazione di progetto.

Figura 3 – Immagine riassuntiva dei SDG(s). Nazioni Unite Agenda 2030.
Trasformazione urbana resiliente
Ritengo molto importante e significativo fare incontrare azione di riduzione e gestione del rischio e misure “green” nello stesso protocollo che guida la riqualificazione “sostenibile” dell’edificio. Esso è preludio ad una successiva fase di valutazione, in chiave di sicurezza e riduzione del rischio, delle misure “green” che già tradizionalmente sono presenti nei protocolli di sostenibilità. In questo modo la misura o l’azione di sostenibilità diventa effettivamente tale, perché racchiude in sé anche la capacità di affrontare e superare eventi, che interesseranno l’edificio nel suo prolungato ciclo di vita.
Per la riqualificazione degli edifici esistenti ci è data un’unica possibilità, che difficilmente può essere rimediata, se non svolta in maniera corretta. Pensare quindi di introdurre misure “green” secondo standard e requisiti superiori a quelli della norma di legge e lasciare tematiche come, per esempio, quelle della sicurezza strutturale antisismica all’obbligo di legge, appare contraddittorio. E’ inoltre maggiormente contraddittorio quando l’edificio su cui si deve intervenire è un edificio esistente che ha già maturato se non superato il proprio ciclo di vita. Infatti esso è stato costruito, molto probabilmente, prima degli “obblighi di legge”, ai quali, la sicurezza dell’edifico e soprattutto dei suoi abitanti, dovrebbe essere demandata.
Ecco allora che la riqualificazione “sostenibile” (nel senso sopra dato…) degli edifici esistenti può solo in questo modo contribuire appieno al processo di rigenerazione della città. Questo è un processo più vasto che coinvolge non solo l’ambiente fisico degli edifici privati e pubblici, delle infrastrutture, della mobilità e delle reti, ma anche quello dei servizi, della informazione e sopra tutti quello della loro governance. Perché rigenerare la città? Non è una scelta, ma una necessità. Nasce dal dovere rispondere ad una semplice domanda: Come affrontare l’incertezza del futuro in un mondo in continuo cambiamento?
Le città rappresentano i sistemi che già oggi pur costituendo solo il 3% della superficie terrestre, pesano per il 65% delle emissioni in atmosfera e attrarranno, nel 2050, il 70% della popolazione mondiale. Questi elementi, abbinati alla piena interconnessione tra i domini fisico, sociale, cognitivo e della informazione, possono rendere più fragili le città, per come fino ad ora concepite. In questo senso, negli ultimi tempi, emerge la necessità di aumentare la capacità del sistema socio-ecologico “città” nel riuscire a continuare a fornire servizi e vivibilità ai propri cittadini, indipendentemente da quali stress esso possa essere sottoposto. In altri termini tale capacità viene riconosciuta alla città come capacità di essere resiliente. E’questa la sfida con la quale singoli cittadini, comunità, i vari stakeholders coinvolti nel processo di rigenerazione, chi ha il potere decisionale, sono chiamati a confrontarsi.
Ecco allora che, in questa chiave, ogni singola decisione e misura presa per riqualificare anche il singolo edificio, con l’ambizione di prolungarne il ciclo di vita e proiettarlo nell’incertezza del cambiamento generale in atto, assume maggiore importanza non solo per chi poi lo abiterà, ma per l’intera città in cui è collocato.